Biblioteca autori

Bernard Plossu: Taccuini di viaggio

BERNARD PLOSSU: TACCUINI DI VIAGGIO

“Letture ermeneutiche” I° parte

 

 Bernard Plossu (1945) ha iniziato a fotografare giovanissimo raccontando il suo peregrinare attraverso  deserti, città, isole, spostandosi in aereo, macchina, autobus, a piedi; non a caso lo hanno definito “fotografo nomade” e lui stesso afferma “la mia valigia è sempre pronta”.

E come ogni viaggiatore che si rispetti, Plossu ha il suo viatico: uno stile inconfondibile frutto di un’impareggiabile senso della poetica dovuto alle feconde frequentazioni con il mondo della letteratura : Henry Miller, Allen Ginsberg e Michel Butor per citare alcuni nomi; tutti scrittori in qualche modo legati al tema del viaggio.

Bordeaux 1994

 

Quello di Plossu è un reportage se con questo termine si intende il racconto di un viaggio non didascalico né retorico; Plossu non desidera documentare ne’ spiegare,  ma narrare utilizzando un suo stile e una sua grammatica. I volti, i paesaggi, gli oggetti che incontra sono parole che ricompone mirabilmente in un  racconto che è insieme la sua visione interiore ed esteriore.

Un doppio registro il suo: paesaggi reali che si intersecano con paesaggi dell’anima, non luoghi. Gli attimi  ripresi sono fuori dal tempo inteso come entità misurabile e ne comunicano una percezione interiore.  I dettagli, le sfumature, le immagini mosse sono echi piuttosto che momenti fissati e rigidamente impressi, come egli stesso afferma “ Ce que j’espere realiser dans mes photographies est le non-temp, au lieu du temps arretè. Comme le brefs moments de silence dans la musique du Moyen-Orient.(…) Un écho plutot qu’un moment”  (Ciò che spero di realizzare con le mie fotografie è il non-tempo invece di un tempo che si è fermato. Come i brevi momenti di silenzio della musica mediorientale. Un eco piuttosto che un attimo).

Messico 1965

Ciò che davvero lo interessa è condividere la sua visione della realtà al di là di ogni clichè e prova ne è il fatto che pur raccontando prevalentemente in bianco nero ha utilizzato il colore in tempi in cui non era consueto declinandolo però in maniera mai sfacciata ne’ aggressiva: la poesia sussurra, non urla.

Nuovo Messico 1981. Stampa metodo Fresson

 
Ha iniziato a scattare con una Brownie Flash oggi predilige l’obiettivo 50 mm ed a chi gli chiede se occorra una buona macchina per fare una buona foto risponde “è questione di sensibilità, di intelligenza visiva”. Ciò non faccia però concludere che le sue immagini siano poco attente alle forma o frutto del caso; neppure le composizioni che potrebbero essere ritenute fuori target fotografico o  le inquadrature che tradiscono inclinazioni bizzarre, lo sono: “non sempre il rapporto del corpo con il mondo è in equilibrio”[1] sembra dire, questo fotografo/scrittore di viaggi.
Tutto, proprio tutto nelle sue immagini ha una sua ragione di esistere ed è necessario intrattenersi per lungo tempo con esse per poter intuire, azzardare ipotesi, capire. Plossu racconta, suggerisce, ammicca, prende per mano lo spettatore accompagnandolo dentro immagini che sono pura resa visiva del suo amore per la letteratura e il cinema.
Marsiglia 1991

 
Non si può avere fretta se davvero si vuole afferrare il valore di questo complesso – per ampio respiro – e al tempo stesso semplice – per  delicatezza ispirativa – fotografo. Per guardare le sue immagini lasciando che ci parlino e ci raccontino del suo occhio interiore ed esteriore occorrono pari strumenti: una visione interiore per creare un legame empatico e una visione esteriore che consenta di abbracciare il suo mondo intriso di arte e poesia.
Nessuna frase potrebbe essere più appropriata per chiosare e chiudere : “I viaggi sono i viaggiatori”[2]  e ogni immagine  di Plossu è davvero Plossu.
 
Alessia Lombardi.
Firenze, 26 febbraio 2012


[1] Bernard Plossu Mimmo Iodice. Sguardi gardesani. Silvana Editoriale 2007 –  Bernard Plossu. Attraverso Milano. Catalogo della mostra (Milano, 16 aprile-25 maggio 2008). Mondadori Electa, 2008
[2] Fernando Pessoa. Il libro dell’inquietudine.

Articoli correlati

22 commenti

  1. Alessia Lombardi è la prima iscrittta al Dipartimento Cultura che mi ha contattato presentandomi l’intenzione di elaborare una serie di Post di studio su diversi autori. Questo è solo il primo, altri seguiranno i prossimi martedì. Lo sta facendo con le conoscenze e lo stile derivanti dai propri studi di Ermeneutica Filosofica. Quando scrivevo del valore delle differenti provenienze che sono presenti tra i soci FIAF come un importante valore, intendevo proprio questo. Alessia inizia il suo percorso da questo punto, sarà un piacere vederla crescere ancora arricchita da quanto nel Dipartimento Cultura sapremo condividere. Essendo il primo Post di questo genere molto importante, merita i nostri più vivi complimenti!
    Silvano Bicocchi

  2. Mi associo ai vivi complimenti.
    Questo di Alessia è un vero regalo per iniziare il cammino insieme di approfondimento e conoscenza.
    Leggere le sue parole, cogliere le sfumature del suo dire e i riferimenti precisi ci aiuta ad assaporare meglio la poetica narrativa dell’autore presentato.

    1. Vi ringrazio per l’incoraggiamento e le belle parole ! Spero solo di riuscire ogni volta a portare un contributo, anche piccolissimo che possa poi crescere, nello spirito di Agorà, grazie ai vostri suggerimenti e interventi.

  3. La foto che mi piace di più è quella che potrebbe sembrare, di primo acchitto, casuale e soprattutto tecnicamente mal realizzata: l’ultima.
    Mi parla di quotidianità, di viaggio, di passaggio; di un viale di smistamento di itinerari di lavoro; certamente non il più suggestivo di una città. Mi racconta la fretta di ogni giorno; il tavolino di un bar, su una strada di grande scorrimento, che attende un cliente che ha bisogno di una breve e defaticante sosta e non ha il tempo di scegliere un angolo più raccolto, più suggestivo.
    Le verticali inclinate accentuano questa fretta, questa casualità. La fila dei mezzi passa tra lo stridore dei freni e la fredda anonimicità di una qualunque periferia urbana.
    Mi aspetto l’apparire di un signor Hulot, con l’ombrello sotto il braccio, la pipa spenta in bocca, l’impermeabile sgualcito, il passo incerto e senza meta, il naso sempre in aria.
    Non è una foto scattata a caso; riflette la capacità dell’autore di percepire il quotidiano; quello che nella fretta passa senza essere recepito consapevolmente perché scontato, consueto; ma che in futuro carattererizzerà la storia urbana di un’epoca.

  4. Grazie Alessia! Un prezioso intervento, mi hai permesso di conoscere un nuovo autore e fornito nuovi spunti di riflessione.
    Il gruppo sta cominciando a conoscersi e se il buongiorno si vede dal mattino….
    Massimo B.

  5. Grazie Alessia per questo bellissimo viaggio, è stato per me un piacere conoscere con le tue parole questo autore, aspetto i prossimi.
    Ciao
    Marisa

  6. Grazie Alessia per questo tuo porgerci la fotografia d’autore, ci apri una nuova finestra, e con il tuo lavoro di ricerca e di critica arricchirai il nostro sapere e ci sentiremo più uniti in conoscenze comuni, come veri compagni in una Grande Scuola.
    A martedì, ciao. Giovanna

  7. Non so davvero come ringraziarvi per tutti i complimenti e commenti positivi; Vorrei potermi intrattenere con ognuno di voi e spero di conoscervi tutti di persona al più presto.
    E’ importantissimo, per me, il vostro supporto perchè mi spinge a fare sempre meglio e a cercare di dare sempre di più.
    Sono felice e onorata di viaggiare con voi e la mia forza e volontà viene dalla consapevolezza di camminare con tanti compagni che hanno una grande,grandissima esperienza; siete il mio sprone e la mia forza, modelli da emulare ed è superfluo dire che da voi potrò imparare tantissimo!
    Grazie ancora! Un abbraccio a tutti quanti!

  8. Molto illuminante il concetto “non sempre il rapporto del corpo con il mondo è in equilibrio”. Lo trovo molto stimolante e sincero, questo poi lega molto con il viaggio dentro e fuori, quell’esperienza che diventa al contempo processo e prodotto, il primo inteso come percorso di mutazione intima ma legata al contesto, il secondo come nuova sintesi… con un diverso eguilibrio. Non mi resta che dirti buon viaggio

  9. anch’io mi accodo alla fila dei tutti entusiasti per scoprire un nuovo autore ai più sconosciuto, se il buon giorno si vede dal mattino … che bello …. tutti così buonini e carini. mi chiedo come si potrà coniugare la poetica (??????) del bravo fotografo viaggiatore con quella espressa dai cattivi narratori dei viaggi come Henry Miller e Allen Ginsberg. Miracolo delle parole. Poi mi chiedo anche se le quattro (4 di numero) foto fossero state mostrate senza accompagnamento di parole che effetto avrebbero destato nei nuovi frequentatori del blog, ancora tutti vestiti a festa e colmi di buoni propositi. Precari equilibri ed instabili fotogrammi, il problema si sapeva anche prima di aver timbrato il biglietto che era quello della omologazione all’indefinito.

  10. I Post che presentano un autore, hanno la principale utilità di farlo conoscere. Nella sintetica presentazione, chi scrive il Post inevitabilmente pone in rilevo ciò che personalmente ritiene importante di questo autore, pertanto restano ampi gli spazi inesplorati che altri iscritti potrebbero indagare. Il clima di accolgienza riservato all’autrice del Post è quello giusto per incoraggiare l’espressione dello spirito di ricerca di ognuno degli iscritti al Dipartimento Cultura, in quanto con la buona accoglienza si comunica anche la capacità di relazione costruttiva dell’ambiente umano di Agorà Di Cult.
    Se per un iscritto al Dipartimento Cultura il Post o i commenti non hanno sufficientemente approfondito o addirittura non hanno colto nel segno la presentazione dell’autore, un commento non è sufficiente a chirire la propria diversa posizione, pertanto è invitato a elaborare un altro Post che continuerà l’approfondimento dell’autore presentato indagando gli aspetti diversi che lui ritiene importanti.
    Portate in Agorà Di Cult gli autori che amate, saranno conoscenze indispensabili per i prossimi sviluppi del nostro percorso comune.
    Silvano Bicocchi

    1. Interessante lo spunto:”mi chiedo come si potrà coniugare la poetica (??????) del bravo fotografo viaggiatore con quella espressa dai cattivi narratori dei viaggi come Henry Miller e Allen Ginsberg”. Come ha affermato il Direttore è davvero impossibile in 4000 battute toccare proprio tutto! Il Post credo sia concepito come uno spunto e un invito ad approfondire e, come in questo caso a porsi e porre domande. Comunque ottima osservazione!Occorrerebbe una lunga incursione in campo letterario! La risposta, in base al mio vissuto, alla mia formazione, al mio di vedere e sentire: le cattive o buone frequentazioni possono portare a risultati insoliti e insospettabili; dipende da cosa si recepisce e si decide poi di portare con se’ nel viaggio. La storia intesa come studio degli avvenimenti storici insegna molto a proposito: nessuno storico è diventato mai “cattivo” dopo l’appassionata ricerca di un periodo storico anche particolarmente crudo e malvagio. E gli esempi potrebbero continuare con altre discipline a dismisura. L’animo umano, poi, si sa, è frutto di contraddizione e le rielaborazioni che ognuno compie sono vere e proprie insondabili magie personali. Bisognerebbe interrogare Plossu e girare la domanda a lui. Chissà che non sia possibile ottenere una risposta.
      Interessantissimo ancora il commento alle immagini: in effetti, sono state scelte volutamente e non sono assolutamente frutto del caso …
      Grazie Maurizio per questo intervento!

  11. Grazie Alessia per l’attenzione e concordo sul fatto che i post devono degli spunti da cui partire. Ma poi arrivo troppo in fretta alla conclusione che la fotografia di Plossu non mi fornisce la stessa sensazione “disgregante” della prosa e poesia dei suoi compagni di viaggio, mia incapacità di comprensione? Sicuramente. Potrebbe essere che è un linite della fotografia, dovuto alla fotocamera (il medium) che con il suo inconscio tecnologico (per dirla alla Vaccari) limita la capacità espressiva di una mente allo stesso livello dei suoi mentori? Mi par di capire che conta più l’autore delle sue foto mentre per quanto riguarda i fagocitatori di parole è l’esatto contrario. C’è un’altra curiosità nelle foto che hai scelte come emblematiche che mi pone un quesito irrisolto, come mai quelle fatte in messico il luogo indicato nella didascalia è uno stato mentre quelle riprese in europa si specifica il nome della città? Maurizio

  12. Le immagini in visione mi suggeriscono alcune evidenti dissimilitudine dall’universo della fotografia naturalista, così bene rappresentata sull’Agorà di Cult da Omero Rossi, su cui ho scritto in precedenza. Penso per esempio che Bernard quando scatta le sue foto non si trovi dietro la sua macchina fotografica ma si pone tra questa e il soggetto che ha scelto! Nelle sue foto scattate in più luoghi del mondo io finisco inevitabilmente per ritrovarci il suo autoritratto. D’altronde i titoli usati per le sue immagini sono di un generico estremo, si cita per esempio il solo nome della città, senza indicarne la via e il numero civico. Altre volte addirittura solo Messico! Non si ritiene pertanto di nessuna utilità dare a chi guarda informazioni precise, risulta evidente che nelle fotografie di tipo concettuale sovente non è importante quello che viene fotografato, lo sono sempre la persona che l’ha fatto ed il modo che l’ha portato a farlo. Il suo autore è sempre l’unico soggetto degno di nota. Per questo tipo di fotografia sovente non è sufficiente mantenere gli occhi entro i suoi quattro lati per comprendere cosa essa intende mostrarmi, l’osservazione che si dovrà compiere per comprendere quello che è raffigurato dovrà andare ben oltre quello che viene impresso sulla pellicola o sul sensore. La fotografia concettuale è di tipo “aperto”, meno faccio vedere e maggiormente darò motivi da argomentare nelle discussioni. Quanto detto giustifica anche il fatto che le loro fotografie siano di qualità tecnica non eccelsa, vale la regola che meno si entra nel particolare definito e più lascio che l’immaginazione riesca ad uscire dalla costrizione che mi impone la tecnologia degli apparecchi. Forse nel loro modo di fare fotografia, così profondamente diverso da quello dei fotografi “obbligati” a dipendere in gran parte dalla loro attrezzatura fotografica, come chi si occupa di documentare la Natura per esempio, si può cogliere la condivisione sulla preoccupazione che Flusser riporta nel suo libro Per una filosofia della fotografia: gli essere umani sono ad una pericolosa deriva che li può travolgere, di essere schiavi di una tecnica priva di fondamento.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button