Dai tavoli di portfolio

IL MAESTRO VA IN PENSIONE – di Massimo Cavalletti

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Quarantatrè anni trascorsi insieme ai bimbi, come diciamo in Toscana. I miei bimbi, perché li ho sempre vissuti come se fossero figli miei. Sono stati anni non sempre facili, i problemi non sono mancati, ma la passione che mi spinse a intraprendere questo lavoro mi ha permesso di superare anche le difficoltà più ardue. Fra le qualità che deve avere un insegnante c’è la professionalità, cioè la padronanza delle conoscenze psicologiche, pedagogiche e didattiche e la capacità di metterle in pratica a seconda dei bisogni dei singoli alunni. Ma non meno importanti sono la passione e l’empatia che rendono questa applicazione meno fredda e più rispondente alle richieste affettivo-relazionali dei singoli bambini, e aiutano a stabilire un clima di fiducia in cui possa fiorire una forte motivazione all’apprendimento.  La relazione affettiva che si instaura tra un maestro e i suoi alunni è cosa unica: resterà nella memoria dell’uno e degli altri per tutta la vita e formerà persone “diverse”. Se è necessario che una buona dose di passione sia iscritta nei geni dell’insegnante, è innegabile che la relazione con gli alunni, specialmente nella scuola elementare, ha il potere di rinforzare e sviluppare questa passione. Fare l’insegnante è quindi un lavoro che arricchisce umanamente come poche altre esperienze possono fare perché il rapporto tra insegnamento e apprendimento si sviluppa secondo modalità di andata/ritorno.
Questo portfolio nasce, alla soglia della pensione, dall’esigenza di fissare e comunicare con immagini l’essenza del mio essere insegnante.
Massimo Cavalletti
 

IL MAESTRO VA IN PENSIONE

 di Massimo Cavalletti

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8 commenti

  1. Una storia semplice ed unica come lo è quella di ognuno e come tale degna e meritevole di essere narrata.
    Un’opera dove la progettualità ed il coinvolgimento dei soggetti dona all’autore la libertà di poterla interpretare a suo modo.
    Un racconto che rivela e manifesta la genuinità di un incontro.

  2. Caro Massimo, comincio dalla fine del tuo intervento di cui ti ringrazio. Guai se l’incontro tra insegnante e alunni non fosse improntato alla genuinità, specialmente nella scuola elementare. I bambini, in questa fase della loro crescita, hanno bisogno di dare e ricevere fiducia per un equilibrato sviluppo affettivo; un atteggiamento non genuino da parte dell’insegnante sarebbe un tradimento nei loro confronti e un danno dalle conseguenze certe anche se non determinabili con esattezza. I bambini, da parte loro, sono sempre genuini nel loro rapportarsi con gli altri ed è proprio questa genuinità che permette all’insegnante di cogliere potenzialità e bisogni dei singoli. Certo, la genuina disponibilità dei bambini e le caratteristiche della situazione stessa mi hanno dato la possibilità di progettare e sviluppare secondo le mie intenzioni il progetto e correggere in itinere il percorso. Le mie intenzioni erano quelle che ho esposto nella presentazione: volevo semplicemente esprimere il mio modo di essere insegnante. Non ho certamente la presunzione di indicarlo come un modello universale, ma credo che affetto e passione sia elementi imprescindibili. E proprio perché non lo pongo come modello, qualche dubbio sul reale interesse che avrebbe potuto suscitare l’avevo. La buona risposta avuta a vari livelli mi conforta. Forse foto come queste riportano alla mente dell’osservatore ricordi molto personali che risalgono all’infanzia e alle esperienze con il proprio insegnante elementare. Se così è, ne sono contento perché credo che la funzione della fotografia sia anche quella di coinvolgere emotivamente, oltre che razionalmente, chi la osserva.

  3. Capisco e condivido ogni pensiero ed emozione di Massimo poiché ho appena vissuto la sua stessa esperienza di cambio di vita. Una delle tante cose belle ed indelebili che lascia questa professione è il ricordo che i nostri alunni mantengono di noi e di ciò che abbiamo fatto, un sentimento che riesce a manifestarsi anche dopo decenni quando incontrandoli per strada ormai adulti ti salutano chiamandoti ancora maestra/o o ti cercano sui social per chiederti l’amicizia. In quei momenti senti davvero di aver lasciato un segno del tuo passaggio ed è una grandissima gioia.

    1. E’ proprio vero quello che dici, Monica. Rendersi conto che a distanza di tanti anni sei rimasto nella mente e nel cuore dei tuoi alunni è una gratificazione difficile da spiegare. Alla fine di dicembre ho una cena con ex alunni che hanno compiuto cinquant’anni nel 2019. Una cosa che mi riempie anche d’orgoglio perchè vuol dire che ho fatto qualcosa d’importante per le loro vite. Grazie a te per il tuo intervento.

  4. La narrazione autobiografica del Maestro che va in pensione, è formulata con poche immagini fortemente simboliche, incentrate sullo stile d’insegnamento tenuto nell’attività educativa.
    L’opera comunica l’emozione di questo momento, dove il ruolo sfuma dal presente ed entra nel mondo dei ricordi, e denota l’urgenza di porre in evidenza i valori perseguiti nei 43 anni di attività didattica: la centralità degli alunni, il caldo rapporto umano, il rapporto insegnante e alunni improntato sull’autorevolezza e non l’autorità.
    Il Maestro è anche fotografo e con la fotografia ri-vede il proprio stile, costruito giorno per giorno, e con questo portfolio riesce a cristallizzare nelle immagini le mete morali che ritiene d’aver raggiunto.
    Ho pubblicato con estremo piacere quest’opera di Massimo Cavalletti, e lo ringrazio per la condivisione, perché con essenzialità ci parla di una esperienza scolastica. La Scuola è una parte decisiva della nostra società di cui non si parla abbastanza.

    1. Un grosso grazie Silvano per aver scelto questo mio semplice lavoro al quale, come si potrà intuire, tengo molto per ragioni personali. Nello stesso tempo apprezzo il fatto che tu ci abbia visto un qualcosa di più che dovrebbe interessare la collettività, in quanto la scuola, come tu hai messo in evidenza, è parte decisiva della nostra società. Se ne parla spesso, quasi sempre in termini negativi, dimenticando i molti esempi virtuosi che ci sono e che andrebbero messi in grande evidenza per sostenere il ruolo fondamentale che la scuola riveste per la società. Per non parlare delle politiche scolastiche attuate negli ultimi vent’anni almeno che hanno impoverito le capacità didattiche ed educative della scuola.

  5. La fotografia ha il potere di raccontare storie e quando queste sono vere, sentite, originali pur nella loro semplicità e quotidianità diventano importanti e simboliche. In questo raconto la passione, l’onestà e la dedizione con cui il Maestro ha affrontato la sua missione (perchè non è solo un lavoro l’insegnamento è molto molto di più) traspaiono dagli sguardi complici degli alunni, come specchi di anni di cura e attenzione.

  6. E’ una delle più comuni frasi fatte, quella che lo sguardo sia lo specchio dell’anima, ma in questo caso rispecchia la realtà. Se gli adulti spesso imparano a dissimulare i propri sentimenti, i bambini non sono ancora in grado di farlo, si rapportano con gli altri in modo veritiero e il loro sguardo parla. E credimi, è difficile che per un insegnante ci sia qualcosa di più gratificante del loro affetto. Sulla missione ci sarebbe tanto da dire. Una certa pedagogia ha molto insistito per ridimensionare questa caratteristica dell’insegnamento in favore della professionalità, come se l’essere professionale nel campo dell’educazione potesse fare a meno di una dedizione speciale per il proprio lavoro, per la cura del prossimo, una dedizione fatta di amore appassionato e spirito di sacrificio. Grazie Popy delle tue parole.

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