Libere riflessioni

UN'APPARIZIONE DI SUPERFICI, Luca Panaro – a cura di Gabriele Bartoli

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UN’APPARIZIONE DI SUPERFICI

Possibili domande e ipotetiche risposte sulla conferenza di Luca Panaro
a cura di Gabriele Bartoli

 
Qual è la novità sinora decisiva di questi primi quattro lustri del nuovo secolo?
Ha esordito con questa domanda Luca Panaro nella conferenza di presentazione del suo libro: UN’ APPARIZIONE DI SUPERFICI.
Difficile rispondere, in questo la nostra società sembra rimanere ancorata a vecchi stilemi del secolo scorso; la macchina più venduta è ancora, pur con qualche modifica, la stessa macchina tedesca in voga da anni; la pubblicità stessa ci mostra come i cibi vengano prodotti: “…ancora con la vecchia ricetta della nonna, come una volta!”.
Ci spaventa forse una nuova visione moderna del contemporaneo?
Solo la tecnolgia sembra avere la possibilità di compiere continui passi in aventi, con accelerazioni che spesso ci colgono impreparati.

Certo, grazie alla tecnologia è cambiato molto anche il nostro linguaggio e la nostra comunicazione.
Linguaggio e comunicazione sono parole che abbiniamo spesso anche alla nostra Fotografia.
E come è cambiata la Fotografia in questo nuovo secolo?
Ecco la domanda centrale che ci si pone ora, soprattutto al termine della conferenza di Silvano Bicocchi sull’epoca Post- Moderna.
Certo è cambiata, e di molto. Non tanto per le nuove tecnologie che al momento non sembra siano in grado di creare epocali trasformazioni come al momento del passaggio dall’ analogico al digitale, ma si è evoluta proprio nel linguaggio e nei segni di riferimento.
Quali sono quindi  i nuovi confini della Fotografia contemporanea?
La risposta è contenuta anche nei nuovi mezzi a disposizione dei fotografi per la produzione e la diffusione delle immagini. Oggi si parla appunto di Mobile Photography, i nuovi apparecchi di riproduzione stanno diventando ormai protesi artificiali delle nostre mani, pronti a raccogliere e condividere le immagini nelle varie piattaforme come Instagram, Snapchat, Tumblr ecc.

Di questo se ne sono accorti anche i fotografi, che anch’essi nei propri lavori professionali utilizzano queste modalità.
Quali sono i cambiamenti in atto nella Fotografia contemporanea alla ricerca di una nuova soggettività?
Ne è cambiato l’utilizzo sociale, passando da una Fotografia di memoria e documento ad una Fotografia di condivisione di effimeri istanti, orientando lo sguardo sul presente; creando una sorta di diario visivo delle normali azioni che si compiono durante la giornata che possono diventare “eventi” se rappresentati fotograficamente.
E’ normale quindi che anche i fotografi vadano a indagare questa normalità facendola assurgere a ricerca artistica e quindi a cifra stilistica personale.
Che differenze di ripresa ci sono tecnicamente?
Smartphone e tablet consentono di fotografare i soggetti in maniera ravvicinatissima e con discreta qualità, quindi si ha la possibilità di avere una nuova visione apparentemente trasformata del soggetto. E tanti autori stanno estremizzando questo concetto; inquadrature ravvicinatissime del soggetto ponendo la “fotocamera” in maniera parallela ad esso, eliminando qualsiasi soggettività autoriale, anzi ricercando la massima decontestualizzazione e decostruzione.

Ne nascono immagini fortemente astratte, quasi grafiche, fredde, silenti e asettiche; immagini completamente bidimensionali, che vengono  successivamente condivise dagli autori sulle note piattaforme dedicate, con bassa risoluzione anche se vengono prodotte con apparecchi professionali.
La domanda si pone d’obbligo: è Fotografia questa?
Certo, si può affermare che sia una nuova estetica delle immagini, lo sviluppo della tecnologia è la nuova libertà della Fotografia.
Siamo tradizionalmente abituati a percepire la Fotografia come “specchio” se si volge su di noi,  o come “finestra” se volta al mondo esterno.
Ora si può pensare ad una sorta di “porta”, che possa aprirsi in narrazioni “aperte” lasciando al singolo fruitore la scelta di uno dei possibili racconti in esso nascosti.
Queste nuove immagini di solito fatte di pochi segni, inquadrature strette, immagini piatte senza sfondamento prospettico diventano poi Opere nella loro realizzazione espositiva poiché vengono stampate di solito in grandissime dimensioni; principalmente in formato verticale data la posizione di ripresa naturale dello smartphone, si presentano in maniera quasi statuaria visto che tendenzialmene sono quasi monocromatiche o di finissima texture.

Ma anche viceversa; immagini coloratissime e sgargianti formano installazioni di notevoli effetti e dimensioni che impattano sui fruitori con slancio e insospettabile dinamismo.
Dove si volge lo sguardo del nuovo fotografo contemporaneo?
Ovunque tutto diventi fotografabile purché sia ripreso a distanza ravvicinata; seguendo la consuetudine attuale, un pezzo di pizza, parti di macchine, acqua, sabbia del deserto, vestiti, ma anche parti di edifici. Raramente compare l’uomo come soggetto principale, ma alcuni lavori sono basati su di esso. Tutto viene sezionato e ne viene amplificata l’essenza.
Nel libro viene ripresa una splendida frase di Federico Ferrari che nel suo libro: “L’INSIEME VUOTO” definisce con acume ed esattezza questa  ricerca artistica  “…l’universale è compreso nel particolare e l’insignificante sprigiona senso”. Credo che in questo concetto si possa riassumere il valore di questo tipo di fotografia.
In quale genere di fotografia possiamo includere queste ricerche?

A prima vista si potrebbe pensare ad una fotografia esclusivamente concettuale, ma non è solo così.
Ovviamente siamo nel campo dell’ espansione sperimentale, ma alcune tipologie di immagini, proprio perché prive di contenuto, si possono certamente ascrivere ad una fotografia più artistica per le straordinarie forme e composizioni di colori presenti nelle immagini. Certo che a monte di ogni progetto sviluppato con queste rappresentazioni c’è sempre una forte componente concettuale.
Al termine di questo ipotetico scambio di considerazioni, posso dire che il libro di Panaro offre un’ ampia e variegata presentazione di trenta autori che utilizzano questo stile; la maggior parte di loro è accumunata dalla giovane età, ma ognuno in maniera molto personale differisce per contenuti di immagini o tecniche di ripresa; si va dall’ utilizzo di fotocamere professionali sino a macchine di grande formato, dagli scanner piani ai più comuni cellulari e tablet.
Il tutto raggruppato in maniera coerente ed efficace da Luca Panaro che con questo libro pone nuovi paletti di confine della Fotografia Contemporanea.
Assolutamente da non perdere.

 

LIBERA CONCLUSIONE

Ma c’è qualcosa dal passato che possa fare da legame a questo tipo di fotografia? Qual è il rimando storico di questo tipo di immagini?
Ovviamente c’è sempre una provenienza storica, quella a cui preferisco pensare è una vecchia foto di Luigi Ghirri, raffigurante una carta da cielo del Presepe tutta stropicciata. Una foto forse non tra le sue più famose, ma che incarna e avvicina molto il discorso precedentemente tenuto da Bicocchi sull’Ebbrezza del Post Moderno; poi Atlante, sempre di Ghirri, il libro di fotografie di immagini costituito, come detto in altro articolo, da fotografie in cui i pochi segni, monocolori, fanno liberamente e perfettamente immaginare ad ogni immagine il suo significato.



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5 commenti

  1. Luca Panaro è un attento studioso della fenomenologia artistica contemporanea.
    Questo suo libro “Un’apparizione di superfici” pone in evidenza tendenze spontanee, richiamando così l’attenzione collettiva su aspetti che sono percepibili, nella loro valenza, solo agli addetti ai lavori.
    Gabriele Bartoli esercita una funzione importante nel divulgare i contenuti di questa conferenza che, per sua natura, ha coinvolto un numero limitato di persone.
    Parliamo un po’ di queste immagini che si concludono con la famosa carta ornamentale “vissuta”, del cielo stellato da presepio, che Luigi Ghirri ha scattato nel suo periodo iniziale (1970).
    Giustamente come dal titolo della conferenza, tutte sono rappresentate come superfici ma possiamo dividerle in due gruppi: quelle riconducibili a un contesto reale e quelle invece astratte.
    Quelle astratte ci portano a contatto con una auto-refernzialità, mentre nelle altre traspare il referente che ne media il significato ( una casa, una camicia).
    L’astrazione è un dispositivo visivo che agisce con il suo linguaggio senza trama inducendoci a una conoscenza estetica, ovvero sensoriale.
    Tutti ne proviamo un’impressione, piacevole o di altro genere, resta un messaggio soggettivo che non è discutibile in quanto l’immagine non presenta ne cose, ne segni, ne simboli, ai quali ispirarsi per una lettura collettiva.
    Siamo nell’ambito del dispositivo visivo (non del testo visivo).
    Al di là del tono estetico delle immagini, mi colpisce questa implosione di percezione del mondo degli autori che non è più attratta dagli scenari della contemporaneità o forse ne è una forma di reazione sofferta.
    Complimenti a Gabriele Bartoli anche per questa brillante presentazione.

  2. Queste riflessioni sono emerse nell’ambito del CARPI FOTO FEST 2017 – FOCUS GIOVANI, organizzato dal nostro circolo.
    Non vorrei soffermarmi sui contenuti, brillantemente illustrati dal nostro Gabriele e da Silvano poi, ma incoraggiarvi a vedere ed ascoltare tutto l’intervento di Luca Panaro, al seguente indirizzo:
    https://www.youtube.com/watch?v=T23wC_VeeEk&t=1686s
    perché vi da meglio il senso di quanto espresso.
    Il libretto è incredibile, è molto “raccolto”, ma assolutamente molto intenso e invitante nei sui enunciati.
    Buona visione, per questo.
    E un grazie per gli apporti al nostro relatore, sempre più coinvolto e preparato.
    Ciao, Danilo, Grandangolo di Carpi.

  3. Permettetemi un azzardo fortissimo. Più conosco e studio (la amo da tempo) criticamente l’opera di Ghirri più mi vengo convincendo che avesse intravisto qualcosa. Non poteva sapere come sarebbe andata, come STA andando, ma qualcosa aveva intuito. Nel suo modo di pensare al mistero della fotografia e al suo scopo di farci superare i nostri limiti umani (il tema della soglia, tra i molti altri) forse Luigi aveva anticipato una fotografia come questa. Superfici, materie senza tatto e solo come rappresentazione, l’astratto che c’è nel vero e nella realtà. Persino le foto rubate di cibo o di situazioni straquotidiane che i fotografi di ogni giorno spiattellano sulle piattaforme sociali sono una visione che Ghirri aveva intuito, aveva in qualche modo “anticipato”, almeno teoricamente. Questo post mi fa riflettere in questo senso. Un po’ arditamente, e spero di esserne perdonato. Credo però che questa fotografia fatta di molecole colorate possa dirci molto e, soprattutto, ‘chiederci tante richieste’. Bisognerà esser capaci di trovare risposte, anche parziali, anche instabili. Non possiamo farci trovare impreparati. Eravamo stati avvisati. Bella riflessione nel post, grazie molte a Gabriele.

    1. Ciao Antonio, Ghirri era sicuramente troppo in anticipo per i tempi, per questo non compreso completamente nei suoi lavori. Nelle opere di Ghirri è molto forte la componente concettuale, come in alcune di queste immagini.
      Nelle immagini degli autori che il libro di Luca Panaro ci vengono proposte, cosa guardiamo?
      Ecco la prima delle domande che possiamo farci.
      Qual è il soggetto?
      Come ha spiegato il Direttore, sono “dispositivi visivi”, privi di cose, segni e simboli. Se non si riesce ad instaurare un “ponte di relazione” con l’autore, tramite didascalie o concept, rimane solo la nostra valutazione personale fatta di sensazioni.
      Quello che Panaro spiega nel libro è la forte decontestualizzazione dell’immagine, la mancanza di soggettività nella ripresa, due cose che vanno in direzione opposta al tradizionale modo di vedere le cose.
      Queste caratteristiche, unite alla tecnologia disponibile ora, permettono di ottenere questo tipo di immagini; in alcuni casi prive di contenuti, ma in altri con idee molto originali e altrettanto sorprendenti.
      E’ quindi una nuova estetica del vedere? Penso di si, anche se solo il tempo potrà dire con sicurezza se questa nuovo percorso avrà un futuro o meno. Certo è che i Musei e le Gallerie più blasonate stanno prestando molta attenzione a questo tipo di Fotografia.
      Il titolo UN’APPARIZIONE DI SUPERFICI: ci richiama forse al superficiale modo di ricercare il senso delle cose del nostro mondo post moderno?
      Il togliere tutto per arrivare all’essenza, ad estremizzare nel lasciare solo il minimo frammento è da considerare sempre un fattore negativo?
      Come dicevi, Antonio, prepariamoci a trovare delle risposte, per poter analizzare compiutamente queste nuove sfide che oggi si presentano davanti a noi.

  4. Nella produzione di Luigi Ghirri, dove sicuramente è notevole la perdita di importanza del referente tipica della fotografia post-moderna, non mi pare si giunga mai ad una così forte ricerca della decontestualizzazione e decostruzione.
    Le sue immagini, solo apparentemente eclettiche, seguono un preciso filo logico che le accomuna: è il rovesciamento del punto di vista, l’esterno che si fa interno, il mondo che diviene paesaggio interiore.
    La sua fotografia abbandona sì la descrizione e la documentazione, ma per una ricerca dei luoghi dei sentimenti e delle sensazioni, in ogni sua inquadratura si avverte la presenza del fotografo e il suo sentire.
    La carta con le stelle quindi la legherei più al mondo della memoria su cui Ghirri ha molto lavorato fotografando oggetti, cartoline, ritagli, libri, atlanti, ecc…
    Gli interventi fotografici evidenziati da Luca Panaro si muovono invece su un piano più astratto, una incursione nella materia che si fa colore e segno e non solo va oltre al descrittivo, ma anche al concettuale.
    E’ forse una denuncia di come le grandi possibilità di comunicazione messe a disposizione dalla rete stanno creando un “rumore di fondo” che si fa sempre più incomunicabilità???
    Come viene detto nel video, è importante cogliere queste tendenze, che stanno nascendo contemporaneamente in varie parti del mondo, forse espressione di una fotografia che da “colloquiale” sta prendendo la consapevolezza di divenire sempre più “non-colloquiale”.

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