ArchivioCronache

L’EFFIMERO E L’ETERNO – Elaborazione del Concept _08

.
 
.
 
.
 
 
 

L’EFFIMERO E L’ETERNO –
Elaborazione del Concept _08 –
a cura Coordinatori Claudia Ioan & Massimiliano Tuveri

 
 

LAB FIAF DI CULT 050 UMBRIA

Coordinatori: Claudia Ioan & Massimiliano Tuveri
Tutor Fotografici FIAF
Docenti FIAF

 

“Forever – is composed of Nows –

‘Tis not a different time –

Except for Infiniteness –

And Latitude of Home –“

(Il sempre – è fatto di attimi presenti –

Non è un tempo diverso –

Se non per l’infinito –

E per la latitudine di casa -)

Forever – is composed of Nows – (690)

Emily Dickinson

 
Così scriveva Emily Dickinson nel suo componimento n° 690, con quell’intuito visionario e intimistico e soprattutto quella scrittura frammentaria che procedeva per immagini sospese che tanto la caratterizzava. Una scrittura che l’avrebbe condannata ad essere troppo moderna per la sua epoca, isolandola ancor più all’interno di se stessa e del suo universo mentale.
In questi versi troviamo un “sempre”, o un “per sempre”, che si compone di infiniti attimi di presente, in una dimensione di tempo dilatato che travalica qualsiasi orizzonte individuale.
Ed ecco che il tempo dell’istante si somma a tutti gli altri senza soluzione di continuità, illimitatamente, formando un eterno scomponibile in microscopiche – caduche – variabili individuali fuse nel loro fluire inevitabile.
 
Partendo da questa base di riflessione, è inevitabile giungere anche al personale e al quotidiano (“the Latitude of Home”). L’effimero e l’eterno sono divenuti infatti i due termini compresenti di quella che in lessicografia si chiama “collocazione” o “co-occorrenza”: una combinazione privilegiata di due parole, consolidata dall’uso. Al ricorrere di un termine, l’altro co-occorre, e insieme spiegano immediatamente e meglio concetti che richiederebbero più parole, favorendo la comunicazione.
L’effimero e l’eterno ci accompagnano ovunque, in un binomio inscindibile che innesca considerazioni – e sollecitazioni psicologiche – profonde.
 
Effimero ed eterno.
L’uomo passa mentre i luoghi restano, testimoni, a volte involontari, della storia.
 

Alexey Titarenko – City Of Shadows
Questo concetto è ben rappresentato in fotografia, e il primo esempio che viene alla mente è CITY OF SHADOWS, del fotografo Alexey Titarenko: questo lavoro è la sintesi di alcuni anni  di fotografia caratterizzata d una combinazione particolare di elementi, tra cui lunga esposizione, movimento intenzionale della fotocamera e tecniche creative in camera oscura, che rappresentano la cifra stilistica di Titarenko, immediatamente riconoscibile.
Nelle sue fotografie, la città, spesso San Pietroburgo, resta, solida, cupa, forte, incisa dalla lunga esposizione; mentre la folla di esseri umani che la abitano si riduce a un popolo di ombre di cui spesso è possibile percepire solo il rapido passaggio. Non a caso, ricorrono le stazioni, simbolicamente, a evocare ulteriormente il viaggio terreno.
 


Anni più tardi, Matt Black indaga i capitoli più oscuri della storia e le sue tracce permanenti: in MEMENTO PARK il fotografo indaga le vestigia scomode della storia conservate e rese eterne dai monumenti, inserite all’interno del tessuto cittadino di Budapest, Ungheria, di cui sono diventate parte integrante e inevitabile per i suoi abitanti. Anche per coloro che vorrebbero dimenticare.
La storia passata, superata, si trasforma in lezione di storia. Viene resa eterna, ineludibile, visibile, immobile.
Dalla pietra alla fiamma, dalla materia all’assenza di materia tangibile, che pure permane: esiste infatti in molti luoghi del mondo la Fiamma Eterna, che può essere naturale (come nel Chestnut Ridge County Park, a sud della città di Buffalo, nello Stato di New York: all’interno di questa riserva naturale si trova una piccola cascata dietro la quale si nasconde l’Eternal Flame, una fiammella che non si spegne mai), oppure artificiale, alimentata dall’uomo, con grande carico simbolico. Ne esistono solo due, in Italia.
 
Eternal Flame
 
Eve Arnold
Anche il linguaggio della fotografia documentaria contemporanea può ben prestarsi a declinare il tema dell’effimero e l’eterno.
“SVALBARD GLOBAL SEED VAULT” è il titolo di un lavoro del fotografo Jonas Bendiksen, ed è anche un sito incredibilmente remoto, in cui si cerca di sconfiggere la caducità e la fragilità di ciò che è terreno tra i ghiacci di uno degli angoli più a nord in cui l’uomo sappia immaginare di vivere. Tra mura di cemento, in un bunker completamente ghiacciato, sotterraneo, si custodiscono un milione di semi, provenienti da tutte le parti del globo, che consentiranno di riprodurre le colture esistenti anche in un futuro scenario di post-catastrofe locale o planetaria.
Ciò che è minimo qui perdura, attraversando il tempo e ogni ipotesi di distruzione.

La letteratura aiuta sempre a ricollegare l’umano a qualche dimensione superiore o semplicemente più ampia di ciò che è meramente terreno.
Si pensi a questi versi di Wislawa Szymborska, Premio Nobel per la Letteratura:
 
“La gioia di scrivere.
Il potere di perpetuare.
La vendetta di una mano mortale.”
 
L’arte, dunque – la parola, la pittura, la fotografia – come creazione duratura, come sconfitta della caducità per mano del suo autore. L’arte come permanenza, fruibile nel tempo da chi verrà.
 
Ma la vita umana è fatta anche di dettagli impermanenti, che la definiscono come esperienza assolutamente individuale, all’interno di uno schema di vita comune a tutti.
La fotografa giapponese Rinko Kawauchi ci riporta, come la Szymborska, all’unicità e
insieme universalità dell’esperienza terrena individuale nel suo lavoro dal titolo ILLUMINANCE.
Le sue fotografie sono scattate in 6×6 con una Rolleiflex, e sono sempre garbate ed eleganti, con crome e tonalità luminose, prevalentemente fredde.
 
Rinko Kawauchi – Illuminance
ILLUMINANCE raccoglie immagini scattate nell’arco di quindici anni: un insieme di bagliori, di luce, di dettagli della natura che rimandano al ciclo vitale eventi per natura transitori che si collegano gli uni agli altri in combinazioni sorprendenti, fissando la vita nel suo svolgersi e dandole una forma compiuta in un tutto armonioso.
Tra questa folla di istanti di vita, possiamo scrutare attraverso vita e morte come parte della vita stessa, e perfino ricostruire un percorso ideale dalla nascita dall’acqua fino all’ascesa verso la luce. Un cerchio perfetto, estremamente orientale, in cui gli elementi complementari ricompongono il tutto.
 
È facile volgere la mente all’infinito.
L’infinito in terra, anche; e cercare tracce che possano dimostrarsi salde, per sconfiggere il tempo.
In molti hanno esplorato visivamente il tema dell’infinito e della microscopicità dell’uomo, evocando suggestioni intense, e riducendo spesso l’uomo a una creatura di dimensioni infinitesimali, che la fotografia, come il cinema, ben raccontano.
 
Per chiudere le nostre riflessioni, una citazione classica:
 
Alice: -“How long is forever?”
White Rabbit: “Sometimes, just one second.”
Lewis Carroll, Alice in Wonderland
Lewis Carroll

 

Articoli correlati

11 commenti

  1. Grazie per questo approfondimento così ricco di riferimenti e così delicato. Utilissimo spunto di riflessione. Mi fa ulteriormente riflettere su un dubbio che aleggia intorno al concept: l’effimero è ricollegato prevalentemente alla fragilità?

    1. Grazie, Enrico, per aver apprezzato questi spunti iniziali di riflessione, che inevitabilmente conducono a ulteriori ampliamenti della riflessione stessa, in un’affascinante catena di associazioni mentali.
      L’effimero, a mio personale parere, è sicuramente legato (anche) alla fragilità, ma non solo. Basta indagare i semplici sinonimi per lasciar emergere altre sfaccettature altrettanto centrali rispetto al concetto: la brevità, la caducità, l’impermanenza, la transitorietà. Ciò che è umano è sicuramente di passaggio: nulla di umano sulla terra sembra essere risparmiato, neppure i manufatti dell’uomo, neppure ciò che attraversa saldamente i secoli, come ci insegnano i terremoti e i cataclismi e il recentissimo incendio di Notre Dame. Tutto è esposto al rischio di sparizione. Eppure è molto umano sperare in qualcosa di superiore (per alcuni, la fede), o che almeno esista qualcosa che perduri, sfidando il tempo e vincendo. Come l’arte. Come la fotografia.
      Forse, per non essere cupi (non è sicuramente mia intenzione!), occorre accettare che esiste un ciclo vitale fisiologico quasi per tutto, durante il quale tutto e tutti cercano di lasciare segni e tracce permanenti.
      Si può andare avanti a lungo, in questa catena di pensieri!
      Un caro saluto, e ancora grazie per il tempo che hai dedicato a questi pensieri.

  2. Grazie Claudia e Massimo per la vostra riflessione che rappresenta un’altra fondamentale particella di questo “universo” misterioso che stiamo esplorando con i nostri laboratori. Contributi che danno anche la possibilità di conoscere altri autori, quindi di allargare il panorama culturale fotografico di tutti.

    1. Cara Giancarla, felici di poter offrire un piccolo ma sentito contributo a una riflessione che è corale, nazionale, collettiva, fatta di tasselli variegati e importanti: tutti hanno il risultato di ampliare l’orizzonte di pensiero e di conoscenza.
      E quindi grazie a te e a tutti i colleghi impegnati in questa splendida “avventura” fotografica che è il LAB!
      Buon lavoro!

  3. Elaborazione profonda, mi è piaciuta molto.
    Condivido in pieno le citazioni di Wislawa Szymborska e di Lewis Carrol e a proposito di quest’ultima vorrei aggiungere che proprio la fotografia si arroga il diritto (la vendetta?)di “eternizzare”, in un secondo,l’effimero….
    Ambiguità della “istantanea”….
    Cordialmente
    Federico Lama

    1. Esattamente, caro Federico: forse la primissima considerazione da cui ha mosso il nostro LAB (e immagino si accaduto lo stesso in tutti, ma proprio TUTTI i LAB) è precisamente che la fotografia incarna per natura la coppia effimero-eterno, dando materia a ciò che avviene nel tempo e che passerebbe se non intervenisse questa “magia” a fissare l’attimo e l’accadimento. Per di più in forma d’arte. La Szymborska sarà sicuramente d’accordo: scrittura e fotografia assolvono al medesimo compito, e cioè realizzare mediante una mano mortale quella vendetta contro il tempo che passa e che condanna tutto alla sparizione.
      Tutte queste riflessioni conducono lontano, tendenzialmente verso l’infinito!
      Grazie infinite per averle così competentemente arricchite.
      Un caro saluto.

  4. Grazie Claudia e Massimiliano per questa elaborazione interessantissima, profonda e trasversale, che abbraccia varie arti e varie sfumature della vita.
    Ogni concept che leggo su questo tema, nella mia mente fa avvicinare sempre di più tra loro due concetti apparentemente dicotomici ed in realtà fortemente inscindibili ed a tratti indistinguibili.
    Complimenti!

    1. Grazie a te, Mario, per aver posto l’accento proprio sul fatto che il binomio effimero-eterno ci accompagna sempre e ovunque, fosse solo come constatazione (timore?) del primo, e tensione (desiderio? O speranza?) verso il secondo.
      I LAB sono una fucina del pensiero, oltre che di fotografia! E l’arricchimento interiore è evidente per tutti.
      Un saluto cordiale.

  5. Grazie Claudia, grazie Massimiliano per questo bellissimo concept ricco di spunti molto interessanti per approfondite riflessioni. Sin dall’inizio del Lab il mio pensiero è andato a ciò che noi amiamo, la fotografia, sicuramente siamo i depositari di un mezzo attraverso il quale riusciamo a trasformare, ognuno a modo suo, ciò che è effimero in eterno e leggendo i vari concept ne abbiamo la conferma. Ma mi chiedo: noi che ci stiamo adoperando per un buon percorso con i Laboratori, riusciremo a metterci in gioco al punto tale di dire qualcosa di nuovo o semplicemente per la prima volta, riusciremo a dire qualcosa su un argomento così importante e profondo? Comunque vada penso che alla fine del percorso saremo persone più consapevoli di noi stessi e per questo il Lab non potrà essere che un successo. Grazie ancora.
    Doretta

  6. Grazie per queste importanti riflessioni, e all’approfondimento legato alla letteratura al quale il tema trova sovente spunto e ispirazione. Sono reduce dall’ennesima visione del film “La leggenda del pianista sull’oceano” capolavoro del cinema italiano, e ho piacere di condividere con voi l’ultimo dialogo tra Novecento (il protagonista) e l’amico trombettista che trovo attinente a questo tema. Novecento spiega all’amico il perchè della sua decisione di rimanere sempre sulla nave e di non scendere a terra recitando così: “Cristo! ma le vedevi le strade? Anche soltanto le strade ce n’era a migliaia, ma dimmelo come fate voi altri laggiù a sceglierne una? A scegliere una donna? Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire? Tutto quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce. E quanto ce n’è. Ma non avete paura, voi, solo a pensarla quell’enormità? Solo a pensarla, a viverla? Io ci sono nato su questa nave. E vedi anche qui il mondo passava, ma non più di duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano, ma non più di quelli che ci potevano stare su una nave tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità su una tastiera che non era infinita. Io ho imparato a vivere in questo modo…La terra. è una nave troppo grande per me. È una donna troppo bella. È un viaggio troppo lungo. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare”. Per Novecento la vita oltre la nave rappresentava il suo eterno, un infinito che gli faceva paura, e la nave rappresentava invece la sua vita effimera che le regalava però sicurezza e certezza, anche nella morte.

  7. Carissima Claudia, carissimo Massimiliano,
    concordo pienamente con le vostre riflessioni, le quali risuonano familiari nella mia idea circa il concept “L’Effimero e l’Eterno” e mi accompagnano, rassicuranti, nella mia scelta dell’immagine da proporre.
    Ho deciso di postare questo mio piccolo pensiero perché ho apprezzato tantissimo quanto da voi risposto ad un commento precedente, in quanto mi ritrovo pienamente rappresentato dalla vostra frase ” […] la fotografia incarna per natura la coppia effimero-eterno, dando materia a ciò che avviene nel tempo e che passerebbe se non intervenisse questa “magia” a fissare l’attimo e l’accadimento…”.
    Io sono convinto che da millenni l’Uomo viva con una sottile ma profonda angoscia silente e inesprimibile di perdere tutto, dagli affetti a tutto ciò sia riuscito a creare; da quando, cioè, l’Uomo ha iniziato a sviluppare tecnologia e creare cultura.
    Considerando il diverso atteggiamento verso il destino e la vita dell’uomo occidentale rispetto all’uomo orientale, non considero neanche casuale il fatto che la Fotografia sia nata in occidente.
    Proprio per la bellezza ed il significato universale di questo contest ho deciso di tesserarmi FIAF.
    Un abbraccio sincero a voi e a tutti coloro che per la Fotografia creano polvere di luce per illuminare le anime di chi è curioso di vedere “dentro” e “oltre”.
    Con stima,
    Carlo Traini

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button