COPERTINA_DSCF1622

Sei quello che vivi.

Bologna – Ti spiego come siamo arrivati a incontrarci. Questa pretesa dovrebbe suggerirti qualcosa sulla mia mediocrità e la mia bassezza, perché non sono  che un altro uomo che si sente unico al mondo. E’ pieno di uomini così, e non aggiungo nulla al conto. Persone che religiosamente ammirano il proprio cervello. Fosse soltanto questo, non sarebbe molto; ma non mi fido degli altri, e  la mia sfiducia ha maturato qualcosa di pulsionale, profondo e automatico, come se, nel corso del tempo, la coscienza si fosse mangiata l’istinto a piccoli morsi, oppure, a mia totale insaputa, ne avesse usurpato il trono, e adesso lo occupasse con arroganza, sformandolo tutto. Sei quello che vivi, diventi quello che ti succede. Così, io non posso credere che nei momenti in cui ti ho osservata e seguita, in preda a un’intuizione o a un desiderio, tu stessi facendo lo stesso con me ( ma a tuo modo ). Che tu avessi percezione di me come io l’avevo di te, desideri simili, intuizioni concordi, consapevolezza. Io sono convinto di averti sempre guardata, di non averti mai persa di vista, e, solo in base a questa cattiva convinzione, posso stabilire che non hai mai alzato gli occhi su di me. Covo già un piccolo seme d’odio nei tuoi confronti. E’ davvero una fatica immaginare che anche tu abbia un cervello con al suo interno un gran numero di pensieri in conflitto tra loro e in conflitto con la natura, gli scopi morali e il pensiero della morte. Che io sia, in linea generale, identico a te. Inoltre, tu non puoi essere come tutti, perché ora sei qualcosa di prezioso,  quello che il caso ha sorteggiato affinché vi riponessi certe mie speranze, comuni a tutti anche queste, ovviamente, e che poi è una speranza soltanto, una tregua dalla disperazione che incute il destino comune ( siamo sulla stessa barca, è vero, e ieri eravamo sullo stesso aereo). Però, malgrado questo, io sono costretto a semplificarti e a osservare le tue azioni e i tuoi fatti al netto degli ostacoli e degli inciampi a cui la coscienza sottopone il tragitto dal pensare all’agire, cose che proprio io dovrei conoscere benissimo e ammettere negli altri: e invece non lo faccio mai;  in aggiunta, me ne lamento, e il tempo che passo ad accorgermi di questo è vergognosamente breve, un’epifania obbligata solo dopo aver  inflitto tremende sofferenze a chi mi è caro, soprattutto. Per questo motivo e non solo, so di non poterti capire come tu vorresti e sogneresti, al di là di ogni sviluppo. Ma è una condanna che tocca anche me, d’altra parte. Noi non ci capiremo mai completamente. Non succederà mai, neppure se ci amiamo, neppure di un amore, come si dice, adulto. Per tutta la vita cerchiamo di contattarci, ma gli estremi di questo percorso ci riguardano individualmente. Il mio sguardo di adesso, come se non bastasse, ti condanna alla maggiore solitudine immaginabile: perché in questo momento io pretendo da te determinati azioni e fatti, mentre tutto il resto mi deluderebbe ( e se non mi delude, è solo per abitudine al fallimento; e a quel punto, saresti già archiviata come un tentativo, cioè non avresti più valore ). La vita è una serie di contrattempi che ogni tanto si armonizza casualmente in un contrappunto ( e allora dichiariamo la felicità), ma nel momento in cui ci si innamora si è, volendo, al punto di massima distanza l’uno dall’altro ( così, anche questo contrappunto non è che un contrattempo ). Allora mi chiedo perché, sapendo questo, tu debba scegliere me. Ma succede a tutti così, e si sceglie, anche se non tutti scelgono. Benedette le persone estroverse, che sono curiose di chi non sarebbe mai curioso di loro. C’è chi prova piacere a fare regali agli ingrati. In più io sono un vero codardo, un tale vigliacco, devi credermi, e queste cose non riesco a dirtele; allora lascio le mie parole nelle tue mani. Devo aver bofonchiato qualcosa porgendoti questo biglietto, qualcosa di simile al verso di un animale. “Sarebbe troppo imbarazzo”- o una cosa così ( ma ti ho guardata negli occhi, perché così si deve fare ) ( si deve fare?). La mia bassezza, come vedi, è dimostrata: infatti  vigliacco può esserlo solo un uomo  che tiene alla sua vita più che alla felicità che ne ricaverebbe vivendola. E questa pretende di essere una dichiarazione? Non secondo le leggi della vita ( che ammettono l’inganno ), ma secondo leggi tutte mie, che mi costringono  ad un’onestà fondamentalista: ma cosa c’è di più egoista dell’onestà quando non serve, o quando, addirittura, serve a fare del male? Le cose che provo, una volta scritte, non sono certo più soltanto mie, ma lo sono di più che le cose mie non scritte, una volta dette. Qualcosa mi rimane. Sono avaro, avido, meschino. Ti scrivo tutto questo per spaventarti e costringerti ad evitarmi e fuggire. Pratico ogni cosa con il fine di giustificare la mia solitudine, anche il corteggiamento. Per non parlare del piacere che traggo dallo scrivere cose abiette in bello stile (mi fa sentire un dritto, a modo mio). Ma ho comunque esaurito tutto lo spazio parlando di me, mentre volevo parlarti d’altro. Volevo spiegarti come ci siamo incontrati, e adesso non ha più senso farlo. Forse è meglio così. Avrei descritto tutto benissimo, con la minuzia di un orafo ( ad esempio di come la neve riscattava le cose dalla notte, raccoglieva luci lontanissime, metteva il cielo al suo servizio ). Invece tutto si riduce a questo: ero sul volo con te, come detto, e adesso ostaggio con te di questa città sepolta dalla neve, dalla quale non partono treni. Per tre volte ti ho vista passare e per tre volte, provando a cercarti, ti ho persa. Sapevo che per incontrarti di nuovo, sarei dovuto restare fermo dov’ero. Che tu sia allora riapparsa, l’ho considerato un segno. Ma più di questo non riesco a fare, né a essere, e per i prossimi trenta minuti sarò al caffè qui sotto: poi non sarò né al caffè né in città. Se deciderai di non venire, com’è probabile, io mi dimenticherò di te, e tu avrai da dimenticare un episodio bizzarro. Sono, anzi, sicuro che non verrai. Di aver portato a compimento, con questo messaggio, la mia abituale missione. Vediamo se puoi contraddirmi. Se puoi contraddirmi su tutto. Perché gli amori non temono di contraddire: anzi, è il loro unico compito. Ed essere contraddetti è l’unico desiderio di chi sogna di essere amato.

Matteo Fulimeni

© Giovanni Marrozzini

7 Responses to “Sei quello che vivi.”

  1. daniela scrive:

    ..senza parole…
    grazie

  2. francesca scrive:

    bello! ho visto tutta la scena e …il retroscena ….ciao

  3. Silvia scrive:

    Calore nel gelo bianco. Continuo a pensare che non tutti i mali vengono per nuocere…

  4. Silvia scrive:

    Sono entrambi convinti
    che un sentimento improvviso li unì.
    È bella una tale certezza
    ma l’incertezza è più bella.

    Non conoscendosi prima, credono
    che non sia mai successo nulla fra loro.
    Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi
    dove da tempo potevano incrociarsi?

    Vorrei chiedere loro
    se non ricordano –
    una volta un faccia a faccia
    forse in una porta girevole?
    Uno “scusi” nella ressa?
    Un ‘ha sbagliato numerò nella cornetta?
    – ma conosco la risposta.
    No, non ricordano.

    Li stupirebbe molto sapere
    che già da parecchio
    il caso stava giocando con loro.

    Non ancora del tutto pronto
    a mutarsi per loro in destino,
    li avvicinava, li allontanava,
    gli tagliava la strada
    e soffocando un risolino
    si scansava con un salto.

    Vi furono segni, segnali,
    che importa se indecifrabili.
    Forse tre anni fa
    o il martedì scorso
    una fogliolina volò via
    da una spalla all’altra?
    Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto.
    Chissà, era forse la palla
    tra i cespugli dell’infanzia?

    Vi furono maniglie e campanelli
    in cui anzitempo
    un tocco si posava sopra un tocco.
    Valigie accostate nel deposito bagagli.
    Una notte, forse, lo stesso sogno,
    subito confuso al risveglio.

    Ogni inizio infatti
    è solo un seguito
    e il libro degli eventi
    è sempre aperto a metà.

    — Wislawa Szymborska

  5. Alessandra scrive:

    Siete proprio quasi tutti così (parlo degli uomini): diffidenti e delusi. Per fortuna, ogni tanto, vi contraddicete. Ci contraddiciamo.
    Buona fortuna ai protagonisti delle tante storie simili a questa.
    Prima o poi l’amore adulto arriva.

  6. christine scrive:

    …vorrei poterti contraddire, contraddire su tutto e potermi presentare in quella città, in quel bar dove ora non sarai più ma che di te mi parlerà…

  7. Mariapia scrive:

    Splendido, Matteo!

Lascia un commento