Franco Grignani: Un ricercatore Visivo (1° p.) di Orietta Bay

Franco Grignani: Un ricercatore Visivo (1° parte ) – a cura di Orietta Bay,

 

La fotografia è anche definita l’arte della realtà, dal momento che proprio per rappresentarla era nata. Ma nonostante questa affermazione per tutto il Novecento e oltre, partendo dalla importante stagione delle avanguardie storiche che, accomunate dal rifiuto dei contenuti naturalistici dell’arte e dalla valorizzazione degli elementi strutturali e formali, hanno fortemente scosso e messo in discussione il concetto di “rappresentazione”, la fotografia ha iniziato a occuparsi in modo autorevole delle forme astratte, dei segni, della luce in se stessa, cercando espressioni diverse, che si allontanano dalla realtà visibile. La fotografia astratta infatti esula dalla rappresentazione oggettiva della realtà e apre a nuove possibilità, più personali, del mezzo fotografico.

Possiamo rintracciare il suo inizio nell’esperienza del Bauhaus e dei suoi autorevoli esponenti tra i quali Moholy-Nagy, Feininger, Peterhans, Gropius.

In questo panorama di grandi cambiamenti è coinvolto in modo totale anche Franco Grignani (1908 – 1999 Milano), architetto e grafic-designer, fotografo nato nel 1908 a Pieve Porto Morone (Pavia).

Giovanissimo, già nel 1926, inizia una ricerca personale sul dinamismo e la rappresentazione del movimento con una serie di esperimenti, che, avvicinandolo alle idee del futurismo e del fotodinamismo, da cui la sua grande personalità, per così dire, prende le mosse, lo conducono a riflettere sull’importanza della visione e della necessità del coinvolgimento dello spettatore nell’opera. Decisiva sarà per la sua formazione la permanenza nello studio di Pippo Oriani dal 1929 al 1934.

Lo stesso Grignani afferma: “le balde teorie del futurismo mi erano così congenite che ancor prima di leggere il Dinamismo plastico di Boccioni ogni qualvolta che la mia matita disegnava produceva linee di forza o serie di curve ovalizzate in un dinamismo compenetrato”.

Nella sua storia artistica Grignani è stato un esemplare ricercatore visivo, un “iter mentale volto ad indagare le possibilità del senso”(Guido Montana).

Il ruolo che la fotografia svolge in questo suo percorso è determinante. Egli infatti ha la convinzione che la fotografia e i processi ad essa collegati permettano di vedere oltre quello che l’occhio umano può fare. Asserisce infatti: “io cerco ciò che non esiste, quello che è al di là del reale. L’occhio umano ha dei limiti, ad un certo punto non va oltre. Anche il nostro occhio è tarato. La velocità dunque obbliga la mente ad intervenire per supplire alle difficoltà, alle incertezze del nostro occhio. Così io altero la prospettiva, cerco forme impossibili, entro nel labirinto delle distorsioni”. L’immagine diviene un punto di partenza, lo spazio necessario per incontrare altri spazi.

Si serve del mosso e del flou, di sovrapposizioni per andare oltre la realtà delle cose, per penetrare in una dimensione diversa, per allargarne il significato. Nelle sue fotografie un semplice punto diventa una scia. Per approfondire il principio della dinamica della percezione dal taxi riprende le strade e i grattacieli di N.Y., le foto sono mosse ma lui dice: “hanno ugualmente un significato razionale. Il tempo della realtà mi ha dato il tempo dell’idea, un altro reale”.

Definisce subpercezione che è̀ «il recupero contemporaneo dello spazio visivo totale…(G.Scimé́1980), la capacità di vedere oltre, di saper analizzare tutti i fenomeni emozionali al proporsi di un’immagine. Dalla visione plurima alle distorsioni, ai giochi geometrici, al fuoco e allo sfocato, alle superfici riflettenti, tutte le opere di Grignani ci propongono una realtà diversa da quella normale, sono autoreferenziali, ci immettono in una sorta di corto circuito della percezione che produce ansietà e tensione. Tensione sensoriale che trascende l’oggettività, “una fuga che sembra irrazionale e che comunque è mossa da un vento folle, fresco e solare che a sua volta corre, insegue altre immagini”. Un vortice di attesa e inquietudine che sollecita lo sguardo e lo conduce: “Il continuo esercizio mi ha sensibilizzato l’occhio”.

La sua è stata una vicenda culturale lunga e complessa nella quale la fotografia ha avuto un’influenza forte, meglio dire, determinante. Fotografie sperimentali realizzate per sollecitare intuito e percezione e portarci a trasformare la realtà in visione creativa.

Bibliografia – supplemento a Fotografia Italiana N° 235 – marzo 1978

direttore Lanfranco Colombo

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