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MANIFESTI VIRTUALI_ 02.2 – di Monica Mazzolini

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Laboratorio di Storia della fotografia
LAB Di Cult 025 FIAF,
coordinato da Monica Mazzolini

 
 

Manifesto de “LA BUSSOLA”
(seconda e ultima parte)

Dopo aver descritto il contesto nel quale ci troviamo (Lab Di Cult 025 – Manifesti virtuali_02.1) passiamo ad analizzare il testo del Manifesto. Come anticipato nel precedente post per me è suddivisibile in sette punti chiave che possiamo schematizzare come segue:
1- Il programma, come definito dalla redazione, è preceduto da una nota iniziale che serve da presentazione e presa di posizione da parte della rivista che si rende sostenitrice e promotrice della politica culturale de “La Bussola”; un paragrafo in cui viene evidenziata la necessità di rinnovamento per ottenere espressioni d’arte utilizzando la fotografia. Da considerare che a partire dalla metà del 1800 le riviste si sono fatte paladine delle nascenti e rivoluzionarie forme d’arte. In particolare “Ferrania” era la rivista specializzata più importante in Italia: “rivista mensile di fotografia, cinematografia e arti figurative” (dal 1947 al 1967) e nasce con un comitato di redazione, formato da Alfredo Ornano, Guido Bézzola (che dal 1954 diventerà il direttore generale dell’intera rivista) e Aristide Bosio.
 

 (da Rivista Ferrania pag. 5, Milano, Maggio 1947)

 
2- Il secondo capoverso descrive la premessa e le intenzioni dei firmatari che sperano nell’unione spontanea, amichevole e rispettosa di persone appassionate di fotografia che abbiano un credo comune seppur divisi da ispirazione e stile. In effetti questo punto viene rispettato dai partecipanti al gruppo. Basti considerare che seppur usando tecniche e soggetti diversi e pur restando evidenti le soggettività dei singoli fotografi, differenti anche per ceto sociale, le immagini dei componenti de “La Bussola” sono caratterizzate dall’high key ovvero la delicata gamma di bianchi e grigi chiari che ne è stata cifra stilistica e che caratterizza le composizioni di Cavalli caposcuola del “chiarismo fotografico”; molte delle sue immagini hanno a mio avviso un valore metafisico attraverso l’idealizzazione della realtà. Il tono alto è tipico anche di Vender e Leiss con i loro soggetti architettonici, i nudi ed i ritratti. Specifici di Finazzi sono i nudi solarizzati che riprendono la lezione del Surrealismo ed in particolare di Man Ray, ed infine ci sono le immagini di astrattismo geometrico di Veronesi. Da considerare che l’utilizzo dei toni chiari e luminosi, il lavoro en plein air, tipico degli impressionisti, il segno leggero e l’assenza di profondità prospettica e di chiaro-scuro (bensì il tono su tono) erano le caratteristiche distintive del movimento pittorico nato in Lombardia negli anni ’30 con il nome di “Chiarismo” – che si espande anche in Veneto (con la “Scuola di Burano”) – la cui poetica unisce il sentire di vari artisti che faranno capo a questo comune modo di esprimersi, un sentimento intimista a cui di certo il movimento de “La Bussola” farà riferimento. Da considerare che anche il fratello gemello di Cavalli, Emanuele, era un pittore ed anche fotografo che faceva parte del Chiarismo in particolare della “Scuola Romana”. Nel 1933 è stato uno dei firmatari del “Manifesto del primordialismo plastico” che aveva lo scopo di rafforzare lo spirituale e l’astratto della ricerca pittorica tonale: “Noi crediamo […] che la pittura sia giunta a massima autonomia di movimento, a estrema profondità di espressione e funzione della materia come densità ed interiorità, secondo le conquiste moderne […] Vogliamo operare per il futuro, seguendo l’intuizione di attività plastiche allo spirito che le ha mosse in noi: identificare cioè la sostanza pittorica con la natura delle energie spirituali che ci premono cogliere la relazione tra il significato della forma e la natura della sostanza pittorica; superare il colore come espressione naturale; ricavare da esso un ordine, nella sua infinita varietà, identico alla sostanza della spiritualità moderna” (Fonte: http://www.scuolaromana.net).
 

A sinistra: Giuseppe Cavalli, La bambola cieca (1938)
Al centro: Giuseppe Cavalli, Gioco di grigi (1948)
A destra: Mario Finazzi, Solarizzazione (1952)

A sinistra: Ferruccio Leiss, Arabeschi (1952)
Al centro: Federico Vender, Panni stesi (1940 circa)
A destra: Luigi Veronesi, Fotogramma (1951)
 
A sinistra: Man Ray, Ritratto di Lee Miller New York (1930)
Al centro: Giorgio Morandi, Natura morta (1955)
A destra: Emanuele Cavalli, Pergola (1940)
 
3- Con chiarezza viene descritto il motto, semplice ed incisivo: “Noi crediamo alla fotografia come arte”. In effetti coloro che sono iscritti a “La Bussola” hanno lo scopo di superare l’assioma per cui la fotografia è uguale alla realtà, e sono votati alla ricerca del bello estetico come forma di verità, in analogia con la pittura tradizionale, ma utilizzando nuove forme espressive a volte riprese dalle Avanguardie artistiche. Ovviamente questo nuovo modo di fare e pensare alla fotografia era di sicuro innovativo e per molti scomodo. Facendo un passo indietro – agli inizi della storia della fotografia – capiamo come questo “problema” si era già presentato: infatti la fotografia era nata come un mezzo tecnico per rappresentare più velocemente ed in maniera più fedele la realtà oggettiva ma via via sempre più si avvicinava all’arte. A tal proposito è utile ricordare Charles Baudelaire che attraverso il “Salon” (1859) scaglia forti critiche alla fotografia, alla sua invenzione ed ai suoi sostenitori: “La poesia ed il progresso sono due esseri ambiziosi che si odiano e, dato che si incontrano sulla stessa strada, bisogna che l’uno si sottometta all’altro. […] La fotografia dovrebbe tornare al suo vero compito, quello di ancella delle scienze e delle arti, piena di umiltà. Che la fotografia arricchisca l’album del viaggiatore e restituisca ai suoi occhi la precisione che può far difetto alla sua memoria, che adorni la biblioteca naturalista, ingrandisca gli animali microscopici, rafforzando con altre notizie le ipotesi dell’astronomo; che essa sia infine il segretario, il taccuino di chiunque abbia bisogno di materiale esatto, che salvi le rovine cadenti, i libri, le stampe ed i manoscritti che il tempo divora, tutto questo non dà luogo a discussione, ma merita bensì gratitudine e lode. Ma se alla fotografia si concede di sconfinare nella sfera dell’impalpabile e dell’immaginario, soltanto perché l’uomo vi infonde qualcosa della propria anima, allora siamo perduti!”. Questo ben si collega con i punti successivi.
4- Vengono ben delineate le ragioni e la presa di posizione ideologica affermando, con parole forti, “la necessità di allontanare la fotografia, che abbia pretese di arte, dal binario morto della cronaca documentaria”. Questa è certamente un’affermazione forte ed in contrasto con il reportage e la fotografia documentaristica che nonostante quest’attacco è sopravvissuta ed ha continuato il suo percorso con i suoi autori di grande livello.
5- I componenti del gruppo considerano la fotografia documentaria utile solo ai fini della cronaca e della memoria e per rafforzare il loro credo condannano e polemizzano su ciò che è opposto o non in linea al motto e all’ideologia: “Non si vuol con questo disconoscere l’utilità nel campo pratico del documento fotografico e com’esso sia vitale per la cronaca e il ricordo dei tempi. Ma il documento non è arte”. 
6- “[…] l’assioma fondamentale che in arte il soggetto non ha nessuna importanza. Quel che soltanto importa è che l’opera, qualunque sia il soggetto, abbia o meno raggiunto il cielo dell’arte: sia bella o no”. L’idea è proporre una fotografia artistica, in grado di rappresentare l’armonia delle forme e del bello mettendo in relazione l’estetica e l’espressività creativa.
7- La parte finale riguarda il compito, ossia lo scopo culturale, di diffusione, divulgazione e conversione all’ideologia che già è iniziato con la pubblicazione del manifesto attraverso la rivista “Ferrania”.
Per chi volesse approfondire lo studio del gruppo e del manifesto consiglio la lettura dell’intero documento che potete trovare nel link qui di seguito e il libro “Forme di luce – Il gruppo La Bussola e aspetti della fotografia italiana del dopoguerra” (Alinari) a cura di Italo Zannier e Susanna Weber con la collaborazione di Daniela Cammilli.
Monica Mazzolini
 
 

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7 commenti

  1. A mio avviso è il punto (6) che ha avuto le conseguenze più importanti sull’idea italiana di fotografia. perché, come spesso accade, nell’immaginario collettivo si prestava attenzione alla sola affermazione “in arte il soggetto non ha nessuna importanza” senza andare oltre nel ragionamento.
    Concetto che giustamente poneva in particolare evidenza il valore dell’interpretazione rispetto al soggetto della fotografia.
    Però nella pratica fotografica lo stesso Giuseppe Cavalli spesso scelse, penso some esercizio di virtuosismo, soggetti di basso valore simbolico per porre tutto il valore dell’immagine nella scelta formale e connotativa, al fine d’elevarla “nel cielo dell’arte”.
    Con questa deriva le fotografie si svuotarono di significato cercando l’autoreferenzialità nell’estetica. Anche oggi l’ossessione artistica c’è e la si antepone ad altri valori, come quello narrativo o di senso legato a una determinata tematica.
    Mario Giacomelli ebbe come maestro Giuseppe Cavalli e ne parlò con infinita stima per le sue qualità didattiche, artistiche e culturali ma poi nella sua opera, oltre alla cura estetica, pose profonda attenzione ai temi che agitavano la propria spiritualità e l’immaginario collettivo.
    Penso che, davanti al manifesto de “La Bussola”, ognuno dovrebbe domandarsi in che misura è stato influenzato da questi principi nella propria pratica fotografica.

  2. Proprio per quello sopra affermato conoscere la storia della fotografia è importante Questi approfondimenti sono utilissimi, perché ci fanno conoscere ed acquisire maggior consapevolezza anche delle proprie, a volte inconsce “scelte espressive” e invitarci alla riflessione. Che bellezza ed armonia siano importanti nella costruzione di un’immagine è innegabile, ma dietro a questa attenzione deve esserci uno sguardo aperto e meravigliato che sa andare in profondità.
    Orietta Bay

  3. Al Centro Italiano della Fotografia d’Autore di Bibbiena, nell’estate del 2012, ebbi modo di vedere l’interessante mostra dal titolo “Fotografia e narrazione, dal racconto e reportage al portfolio”.
    L’allestimento si apriva con le documentazioni della prima mostra fotografica per reportage e racconti tenuta a Fermo nel 1963.
    Successivamente, sul n.23 di “Riflessioni”, dedicato a quell’evento, mi colpirono le parole che scrisse Alvaro Valentini in occasione della mostra di Fermo del 1963:
    “… per noi che crediamo alla possibilità di un linguaggio fotografico, in tutta l’estensione del termine […] presupponiamo che per leggere un fotogramma o una serie di fotogrammi occorre uno sforzo di analisi pari allo sforzo di sintesi che è stato necessario all’operatore mentre sceglieva, per arrestare il suo attimo, la luce. il tempo, il gesto, l’inquadratura […]
    ebbene noi pensiamo che la fotografia come linguaggio possa usare le immagini come parole, articolarle, distenderle in un più ampio discorso e, attraverso una sintassi che si sta creando, permettere loro una forza espressiva che va al di là delle cose di volta in volta raffigurate.”
    Incredibile pensare all’importanza di quello scritto, non solo attualissimo, ma forse ancora non del tutto compreso.
    Ciò rafforzò in me l’idea che forse qualcosa ci siamo persi per strada.
    Quindi non posso che salutare con entusiasmo la non facile operazione culturale intrapresa da Monica che seguirò con attenzione.

  4. Anch’io ringrazio Monica per questi approfondimenti tanto importanti per chi ama la fotografia. A mio avviso sarebbe utilissimo farne seguire un momento di dibattito all’interno dei nostri Fotoclub.

  5. La vicenda Bussola e il suo manifesto mi hanno interessato per molti anni. Ho avuto fortunatamente modo non solo di approfondire la questione con alcuni che ne furono direttamente o indirettamente coinvolti (Daniele Cavalli, Ferroni, Eriberto Guidi, Branzi, Camisa, Gardin, Giacobbi, Giacomelli, ecc.) ma anche di attingere a fonti certe .
    Il manifesto della Bussola fu “covato” per lungo tempo, sin dall’anteguerra, e traeva origine in Cavalli sia dalla sua formazione culturale (discendeva dall’estetica crociana e dai classici dell”800 confrontandosi con i contemporanei Cecchi e Cardarelli nonché con la letteratura cattolica francese-Bernanos, Claudel, Mauriac-) che dal discendere da un nucleo familiare benestante e con risvolti artistici non secondari (come citato, larga fu l’influenza del gemello Emanuele). L’azione di Cavalli si estrinsecò in un momento di grande debolezza della fotografia italiana non professionale sino ad allora saldamente in mano alla medio alta borghesia che si esprimeva attraverso stilemi consolidati, poveri di contenuti quanto eleganti nella forma.
    Ecco, la forma, in ossequio ai dettati crociani, fu il rovello e il fine che caratterizzò l’ambizione di Cavalli di creare una fotografia “nazionale” che in qualche modo si riallacciasse alla grande tradizione visuale italiana(non pochi i riferimenti nella fotografia della Bussola al primo ‘400 pittorico..) escludendo in pratica tutte le altre forme di ricerca.
    Se all’inizio tutti accolsero con entusiasmo la colta e intelligente proposta del Manifesto (“di una chiarezza crociana” la definì Paolo Monti) ben presto affiorarono i suoi limiti specie quando nel dopoguerra arrivò in Italia tutto il reportage americano, la scuola umanista francese e le proposte della Subjective tedesca.
    Sintomatica fu la discussione avvenuta a Venezia nello studio di Mario Bonzuan (la fotografia apparsa nel precedente intervento di Monica Mazzolini)tra gli stessi Bussolanti a proposito di alcune fotografie di Gianni Berengo; contro l’apprezzamento di Finazzi (il fedelissimo..)di Giacomelli e degli altri, Cavalli negò qualsiasi valore se non cronachistico alle immagini.
    Si evidenziò così la latente frattura tra Cavalli e gli altri ma ancor di più tra un’utopia fotografica ardita e colta quanto sterile e l’incalzante rinnovamento che finalmente animava l’ambiente fotografico nazionale.
    Rimasto in solitudine, a chi cercava di portarlo sull’evidenza dei fatti Cavalli, convintamente e caparbiamente rispondeva: “Io sono questa fotografia”
    (Mario Finazzi – Giornale di Bergamo 12.5.62 pag.3)
    Manfredo Manfroi Sem.FIAF BFI

    1. Grazie a Manfredo per il prezioso e generoso contributo al Laboratorio.
      Testimoni come Te sanno raccontare la storia con una particolare sensibilità per l’importanza delle persone e degli eventi, oltre alla puntualizzazione della dinamica con cui si sono succeduti i fatti.

  6. Ringrazio tutti Voi che avete partecipato – con i Vostri commenti – a questi scritti relativi al Manifesto de “La Bussola”. Ogni intervento è stato prezioso per dare spunti interessanti. Concedetemi un ringraziamento a Manfredo Manfroi che con i suoi “dettagli” e le sue considerazioni ha contribuito a farci conoscere qualche sfumatura e qualche particolare importante relativo ai personaggi che hanno dato vita a questo periodo, così interessante e denso per la fotografia in Italia.

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